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Wing Chun: Più di una Arte Marziale - Percorsi Personalizzati di Apprendimento

Zona di confort…

Zona di confort…

By Riccardo Di Vito

Oggi voglio condividere con voi questo meraviglioso messaggio che ha scritto Stefano Iogan, un allievo, un amico, una persona di fiducia. Non vi anticipo niente, leggetelo tutto d’un fiato e lasciatevi emozionare.

stefano iogan“Sentiamo spesso il nostro maestro Riccardo Di Vito parlare di quanto sia importante uscire dalla propria zona di confort per migliorare. Il problema non è che istintivamente ognuno di noi anela a rimanere in quell’area ma che tutto l’universo conosciuto è costruito per raggiungere lo stato di minore energia e quindi per raggiungere la zona di massimo confort. Insomma, è una questione di fisica, termodinamica per essere più precisi e si può dimostrare con formule piuttosto complesse. Insomma, per quanto il nostro Suhu ci spinga in una direzione ci troviamo ad affrontare la tendenza di tutto il cosmo che ci trattiene e ci spinge nella direzione opposta.

Quando siamo giovani, pieni di energie e poco inclini a guardarci indietro possediamo per un certo periodo, purtroppo breve, una spinta propulsiva dalla forza così devastante da poter cambiare letteralmente il mondo, forza che alcuni utilizzano in parte e in molti sprecano inconsapevoli di questa opportunità.

Con gli anni le energie diminuiscono e cominciamo a costruirci la nostra zona di confort e più siamo fortunati e magari bravi e più attenzione mettiamo nel costruirci la nostra nicchia, sempre più confortevole, sempre più difesa. Io vivo lì e cerco di rimanerci per la maggior parte del tempo. Quando ho deciso, a 47 anni, di iniziare a praticare questa arte marziale in realtà stavo facendo finta di uscire dalla mia zona di confort. Vero, una cosa nuova in assoluta contraddizione con il mio percorso fisico e di sport da contatto ma di base era un bluff.

Sempre portato per lo sport sapevo che era un percorso alla mia portata, magari non breve, ma che sarei stato in grado di gestire. I primi 2 anni di pratica li ho fatti così, lasciandomi trasportare vigliaccamente dalla routine, incamerando le nozioni e mettendole in pratica sapendo che prima o poi i miglioramenti sarebbero arrivati. Poi le prime difficoltà, l’intervento alla spalla e i primi dubbi sulla reale convinzione se quella fosse la mia strada ma era solo vigliaccheria per l’appunto. E quando sono uscito sul serio dalla mia nicchia comoda allora sono cresciuto, grazie alle opportunità e alla pazienza degli istruttori (Lorenzo…). A settembre ho iniziato con ottime motivazioni, convinto di essere uscito dalla comodità senza sapere quanto si può essere sparati lontano dalla propria confort zone. Rottura del tendine distale del bicipite destro, il mio lato forte e il muscolo che da sempre ho costruito per sottolineare la mia fisicità, il vestito comodo che mi sono messo a 18 anni è che ho usato per sentirmi sicuro. Fine.

Alla menomazione fisica, forse transitoria in un orizzonte temporale comunque lungo, si è aggiunta la paura, una paura nuova e sconosciuta. A quasi cinquant’anni ho “quasi” imparato a convivere e a gestire  le mie paure, so verso quali essere più indulgente e quali invece affrontare di petto ogni volta che si presentano ma questo tipo di paura mi è nuovo e sconosciuto.

Non ho mai avuto paure di tipo fisico, mi butto dal trampolino di 10 metri, salgo su un ring con caschetto e guantoni e metto in conto di prendere dei colpi e di farmi male, salgo sul tatami e affronto Suhu Riccardo… 😉. Insomma, mai prima d’ora ho avuto questa paura e non sapendo come gestire questo disagio ora ho la paura della paura stessa e mi trovo catapultato nel luogo più lontano possibile da quella che io considero la mia zona di confort. Proprio mentre stavo cercando di fare pace con il fatto che invecchio e che devo imparare a gestirmi devo affrontare questo terreno sconosciuto e terribile. Ormai sono anni che riduco gli allenamenti, durante le due ore di pratica ho capito come distribuire le risorse, quando rallentare non per mancanza di impegno ma per distribuire le energie, quando accelerare e quando ascoltare il mio corpo e diradare gli allenamenti. Ma un trauma improvviso, netto e devastante avvenuto durante un semi gancio destro, un gesto ormai naturale, personalizzato, adattato negli anni alla mia fisicità e ai miei limiti mi destabilizza dal profondo.

Devo affrontare da un lato il mio orgoglio e il mio amor proprio e dall’altra il duro percorso da fare per recuperare non tanto la componente fisica quanto quella mentale. Il mio orgoglio, già. Nonostante tutti i fratelli con cui mi alleno facciano di tutto per mettermi a mio agio quando salgo sul tatami ho una percezione di me completamente alterata. Non sono più Stefano, quello grosso, quello che sa tirare di box e tira dei ganci devastanti, non sono l’armadio, quello che è passato in arancione e che continua a migliorare, sono quello con il braccio inutilizzabile e il pesante fardello della paura che mi porto dietro. In queste prime sedute, mentre cerco di focalizzarmi sulla pratica, vengo continuamente distratto dal pensiero del mio braccio. Cerco di concentrarmi sul radicamento al terreno, sulle anche, sulla respirazione, sul tenere la spalla sinistra morbida ma ogni due secondi il pensiero va sull’arto appeso: è al sicuro? Lo devo muovere? Va bene se sposto le dita per lasciare intatta la memoria dei gesti? Mi farà male? Quando potrò usarlo?

Ogni volta che entro nello spogliatoio, quando indosso la maglietta verde, per qualche secondo penso che forse dovrei tornare la settimana prossima, dovrei iniziare tra due mesi, magari l’anno prossimo. L’istinto mi riporta lontano dalle difficoltà, cerco un percorso diverso, vigliaccamente vorrei essere altrove. Penso di iniziare con una disciplina nuova, krav maga o aikido e non solo perché penso siano più leggeri ma soprattutto perché sarebbe un reset, ripartire da capo per azzerare le sensazioni, il confronto con quello che ero prima, la memoria della consuetudine prima dell’incidente. Poi alla fine dell’allenamento, quando cerco di capire cosa ho ricavato da quell’ora mi domando se tornare, quanto tempo darmi.

E mentre vivo quest’aspetto che si può sintetizzare nel continuo e spasmodico desiderio di tornare nella mia zona di confort o di costruirmene una nuova di pacca realizzo che sto vivendo un’opportunità unica e incredibile: quella di scoprire qualcosa di più di me stesso. Non so come finirà, potrei smettere domani ma sono sicuro che quando questa situazione sarà rientrata io avrò acquisito una maggiore consapevolezza di me stesso, delle mie possibilità e delle mie paure.

Quindi, come dice il buon maestro Riccardo Di Vito, sforzatevi e cercate, magari ogni tanto, di uscire dalla vostra confortevole tana dove state al sicuro e al caldo e non fatelo per un breve giro nei dintorni ma cercate di andare lontano, il più lontano possibile fino a che la vostra paura non vi riporti inevitabilmente indietro. Io sono stato fortunato, non ho dovuto trovare il coraggio perché a ritrovarmi lontano dalla mia tana ci sono stato costretto, non ci sono dovuto arrivare e ora ho la preziosa opportunità di trovare i miei limiti, di verificarli mettendomi alla prova.

Perché fino a che siamo al sicuro non sappiamo veramente quale sia il nostro valore, perché potremmo scoprire che i nostri limiti sono molto più lontani di quanto pensiamo o al contrario, altrettanto utilmente, potremmo scoprire che sono molto più vicini di quanto ci eravamo immaginati e in entrambi i casi avremmo acquisito una consapevolezza di noi stessi che non potrà che arricchirci e renderci migliori”.

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